Ottone Rosai, Ritratti

«Giovanni Testori, sembra certo, riferiva che un artista da lui molto amato, Francis Bacon, venuto a Firenze qualche volta per rivedere Masaccio, ebbe modo di conoscere alcuni ritratti e autoritratti di Rosai che lo colpirono molto, tanto che in un’intervista disse di avere proprio a Firenze l’erede di Masaccio, Ottone Rosai appunto. Questa mostra fa parte di un mio vecchio progetto teso a riconsiderare l’opera di Rosai come espressione di grande contemporaneità. L’apprezzamento e la stima di alcuni maggiori rappresentanti dell’arte del Novecento come Bacon e Baselitz sostengono e rafforzano questo mio intendimento»

(Frediano Farsetti)

«Antiretorico, anche se non antifascista, ma contrastato nella espressione della sua omosessualità, Rosai, già nel 1935, nella sua “Autobiografia”, aveva scritto: “Gli uomini, specie i ben portanti, gli impettiti, coloro che vorrebbero dare a bere di chissà quale missione da svolgere nella vita, furono sempre i miei bersagli preferiti e fino a quando non ho potuto dimostrare la tragedia della loro presenza sulla terra per mezzo di un pezzo di matita, mi son divertito a pigliarli a sassate”. È il primo segnale della devastazione dell’uomo, rispetto alla sua perduta integrità, affrontata e descritta, sul piano etico, da Bacon, in una soluzione radicale. I confronti fra le opere di Rosai e quelle di Bacon sono eloquenti, e indirizzano verso la conclusione, indipendente e disarmante, di Gino de Dominicis: “Ho sempre pensato che Rosai avesse influenzato Bacon". Nei “Dialoghi a Sutri” ne abbiamo la conferma»

(Vittorio Sgarbi)

«Non ebbe vita facile Ottone Rosai pittore, figlio di stipettaio con bottega in via Toscanella vicino piazza Pitti. Il carattere impulsivo lo aveva portato misteriosamente all'arte, seppure intesa per stati emozionali e non per disciplina di studi. Insofferente, aveva abbandonato l'Istituto artistico come poi l'Accademia. Rosai fu dunque sostanzialmente autodidatta, motivato seriamente a esprimere la vita attraverso le emozioni del segno e del colore. La natura turbolenta di Ottone diciottenne si specchiava nei soggetti esposti nella prima mostra di pittura tenuta nel '13 assieme a Betto Lotti in via Cavour, a pochi passi dall'esposizione futurista di Lacerba. Mostra visitata e incoraggiata dagli stessi futuristi e in particolare da Soffici, con cui Ottone stabilirà una devota amicizia. Se le figure di Lotti guardavano a un "sensibilismo noir" mutuato da culture mitteleuropee, i soggetti di Rosai balzavano minacciosi e sanguigni dai bassifondi del vicino Oltrarno, annunciando sinistramente il titolo che li rappresentava: La megère, I miei amici della notte, Apaches, ovvero teppisti, come si proclamava il giovane artista.
L'indagine fuor dalle righe del Rosai pittore comincia da lì, dall'identificarsi con la gente d'Oltrarno, il suo stesso quartiere, popolato da una varia e pittoresca umanità spesso in margine alla vita, ma che per innata sacralità di vincoli, nonostante le risse e baruffe, la faceva popolo, comunità identitaria di salda appartenenza»

(Marco Moretti)

 

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