Mirna Manni

La natura, e con essa l’uomo, è al centro della ricerca che Mirna Manni conduce attraverso la ceramica ormai da alcuni anni. Una natura lontana dall'immaginario paesaggistico comune, quanto piuttosto impiegata come metafora per approfondire temi e criticità del mondo contemporaneo. Mirna impiega sovente lo strumento dell’installazione riannodando in questo modo la scultura alla necessità del racconto, stigmatizzando temi spesso di attualità. L’artista rifugge da una narrazione semplicistica, didascalica o scenograficamente decorativa, offrendo al pubblico un interrogativo di riflessione attraverso una costruzione di forme visionarie e metaforiche. Significativo in questo senso Forms and roots, una installazione realizzata in occasione della mostra “Keramikos 2018” a Viterbo, forse l’opera più complessa e articolata di questo periodo, in cui la scultrice si interroga sul tema dell’appartenenza e del radicamento culturale indagando attraverso forme germinali, semi e bulbi spesso legati con deformanti fili di ferro che ne modificano la naturale forma o incautamente violate da tagli e ferite. Allo stesso modo grovigli di radici che per loro natura legano l’umanità, si trovano sollevate dal loro contesto naturale o recise dalla propria terra di origine. Metafore della nostra più recente storia che in trasparenza lasciano affiorare quel senso di fragilità in cui l’occidente, ma non solo, troppe volte cela dietro uno spavaldo atto di forza dimenticando colpevolmente le sue origini e le proprie radici. E forse proprio sulla mancanza di una memoria viva si interroga anche l’altra monumentale installazione: Sedimenti s’incavano nel corpo sensibile 2014, tre colonne ad altezza uomo, protette da una spessa superficie rocciosa, lasciano intravedere al proprio interno un’anima variegata di sedimenti terrosi di varia origine. Ancora una metafora di come l’esperienza, la storia e quindi la memoria di un passato, possono sorreggere e guidare l’uomo saggio. In contrasto sembra invece porsi l’altro nucleo di sculture: Corporeitas 2017, in cui il corpo giovanile, svuotato di esperienze e contenuti si ripiega nella sua fragilità finendo pietrificato su se stesso. L’ultima opera Habitant 2018, è invece la più visionaria, quasi da far nascere l’invidia, o la stima da quegli architetti che si arrovellano su come recuperare nel contesto urbano un nuovo equilibrio tra natura e città. Una visione immaginifica in cui il tema di una natura soffocata dall'uomo manifesta la propria superiorità attraverso una rinascita vitale che sorge nonostante la disattenzione dell’uomo. “Da qui la consapevolezza [scrive Mirna], che di eterno nulla può essere realizzato e che si è inferiori alla natura, con la quale è preferibile accordarsi, superando il solito conflitto per convivere in sintonia”. Una superiorità che in questi ultimi mesi si è palesata con tutta la sua virulenta forza sperando almeno che l’uomo abbia imparato cosa significa finalmente il rispetto verso gli altri e verso il mondo che lo ospita.

(Lorenzo Fiorucci)