Livio Scarpella

Col passare del tempo, la scultura di Livio Scarpella è andata via via perdendo quell'impronta fortemente novecentesca che la caratterizzava fin dalle prime, e pur ottime prove: quella solennità e ieraticità che rimandava – nella limpidezza del modellato, ma anche nella solidità e robustezza dei volumi all'interno dei linguaggi contingenti e paralleli della pittura e del disegno, da sempre costantemente praticati dall'artista bresciano – alle atmosfere severe e rigorose della Nuova oggettività o di certo realismo magico italiano. E si è, invece, sempre più meticciata, contaminata, arricchita di elementi dissonanti e divergenti, quasi malaccozzandoli tra di loro in un pastiche linguistico del tutto originale e a prima vista incongruente: pensiamo a certe ricchezze e preziosità tardobarocche che facevano, e fanno, capolino qua e la sui suoi busti e sulle sue figure, alle tinte e agli elementi aggettanti di derivazione prettamente pop, alle stilizzazioni di taglio quasi déco, alle preziosità delle vesti, agli arti!ci, ai decori e ai dettagli ornamentali – ori, perle, coralli, minerali, lapislazzuli, elementi a sbalzo, argenti, vetri: e ancora feticci incastonati, come reliquie sacre, nel corpo delle stesse sculture, e persino l’utilizzo dell’iconografia classica del sacro cuore posizionato, con irriverente e sublime atto di hýbris, sul petto degli autoritratti: elementi, tutti, che paiono prelevati di peso da certa scultura devozionale della miglior tradizione popolare italiana, e decontestualizzati poi, con insolita impertinenza formale, in un ambito ibrido e volutamente profano.

Non è un caso, allora, che lo stesso artista oggi ribadisca, in più d’una occasione, la sempre più marcata “atemporalità” della sua pratica scultorea («il mio lavoro lo faccio e lo penso come atemporale, inclassificabile: per questo sono eclettico per natura»), e, in qualche modo, la conseguente e fatale perdita di classicità del suo operare artistico – elemento quasi ossimorico in un artista come lui, classico per natura e per formazione («l’aspetto classico è solo uno degli aspetti importanti dei miei lavori... la mia scultura possiede un aspetto “medusiaco”, secondo la definizione di Jean Clair, ossia un senso di incanto sublime e surreale... come un senso di ‘tragedia perfetta’»).

Tuttavia, il rapporto con la tradizione (in qualsiasi forma essa si presenti, sia quella “alta” della classicità sia quella “bassa” della cultura popolare, artigianale, devozionale) è, e rimane, elemento centrale nell'opera di Scarpella: ecco, allora, i continui scarti, ammiccamenti, giochi di rimandi e raffronti con l’opera dei maestri (dal Bernini dell’Anima beata e dell’Anima dannata, alle statue “velate” del corradini nella cappella Sansevero a Napoli, alle tante prove e testimonianze di artisti minori, quando non addirittura anonimi, con cui si relaziona costantemente), quasi che la pratica stessa del modellare, per potersi relazionare col proprio tempo, non possa darsi se non a partire da ciò che è stato, e ha potuto e saputo dare, in precedenza: dunque prima di tutto alla luce del suo rapporto con la storia.

(Alessandro Riva)