Chiara Caselli

C’è una dimensione, quella della phantasia, che mi ha sempre affascinato in Chiara Caselli. La sua capacità di plasmare e di modulare il proprio corpo-recettore, nel rendere intellegibili le tracce del mondo come i mutamenti profondi dell’animo, nell'investigare il fenomeno e le sue manifestazioni, è, in definitiva, e semplicemente, il suo presentarsi al mondo. In questo suo condursi vi è l’immediata certezza della sua esistenza. Un’attività, la sua, come processo del sentire, capace di superare il velo delle apparenze e di vivere ogni possibile, anche se generatore di sofferenza.

Di disagio. La tensione che ogni sua opera trattiene, quel vedere attraverso, non significa, dunque, ricondurre l’azione a esercizio di riproduzione della realtà, di conservazione (memoria) dell’esistente, ma riconoscere alla sua volontà espressiva, nel linguaggio, una forza feconda e vitale. Essere sensibile, in continuo scambio con il mondo, equivale a intrecciare immagini tra il reale e l’irreale.

Visioni che s’imprimono sul corpo del vissuto fino a costituirne, in un gioco multiforme di segni e di rimandi, in uno scambio prezioso di forze, un universo denso di significato. In un percorso espositivo scandito dal passaggio dei mesi, l’opera artistica si scopre in tutta la sua sublime potenza. C’è in lei, nell'autrice, una qualità rara: individuare uno spazio umbratile, presupposto necessario per avviare un dialogo che è ascolto e distanza, apertura e silenzio.

(Giovanni Pelloso)