Giuseppe Pellizza da Volpedo, Idillio Verde

Una formidabile tensione luminosa, una vera e propria tessitura di luce, è favorita dalla stesura di piccole macchie, punti di colore secondo la tecnica divisionista o pointillista, che caratterizza i corrispondenti francesi di Giuseppe Pellizza da Volpedo, in particolare Georges Seurat. Ma ciò che è artificioso e forzato nei pittori d’Oltralpe, come un teorema scientificamente misurabile (penso al Paysage avec cheval di Seurat), appare naturale, come l’alito della creazione, in Giuseppe Pellizza da Volpedo. Camminando nel parco archeologico di Sutri si vive la stessa emozione che Idillio verde trasmette. Osservarlo a Sutri, affacciandosi dalla terrazza di palazzo Doebbing verso Villa Savorelli e l’area archeologica, nella collina di tufo e di verde, ci avvolge in una indistinguibile fusione di arte e natura. La sensazione è ben descritta nel libro Verde muschio di una scrittrice di Sutri, Martina Cecilia Salza: «il muschio è figlio del silenzio che regna solitario e uliginoso. Il muschio è figlio di un regno incantato, all’incrocio dei sogni, dove i vivi e i morti si parlano e si toccano».

«Giuseppe Pellizza da Volpedo è conosciuto universalmente per il suo Quarto stato che inaugura il secolo XX, ed è forse il primo dipinto di soggetto civile della nostra tradizione pittorica, icona delle lotte proletarie di tutto il Novecento. Il Quarto stato è il manifesto politico di Pellizza da Volpedo, l’Idillio verde è la sua meditazione lirica, la sua interiorità romantica; e sono entrambi dipinti nel 1901, come introduzione a un mondo nuovo. Il Quarto stato è una marcia, un avanzare per conquistare diritti e dignità; l’Idillio verde è una passeggiata privatissima, riservata»

(Vittorio Sgarbi)

Primo de Vecchis, sottolineando i due diversi cammini, uno verso la storia e uno verso l’anima, scrive:

«Anche qui ritroviamo il tema compositivo del passeggiare, dell’avanzare delle figure tratteggiate (con uno stile divisionista molto fluido e personale), ma l’inquadratura è del tutto diversa, la coppia di giovani amanti viene colta infatti di profilo. L’osservatore esterno somiglia a qualcuno che contempli rapito una scena idillica, la quale non si esaurisce negli innamorati che confabulano, ma include un prato abbarbagliato dal sole, dove pascolanti greggi di pecorelle brucano l’erba, tra alberi e arbusti, mentre sullo sfondo si eleva una collina coltivata. La luce è studiatissima, come se si trattasse d’un fotogramma del film Barry Lyndon di Stanley Kubrick, e colpisce con sottili scintillii parte del contorno dei capelli degli amanti, la veste rossa della donna, il pelame delle pecorelle, le foglioline delle siepi, i fiori, le chiome degli alberi. È proprio lo studio accuratissimo della luminosità a infondere un sentimento idilliaco e sublimato all’intera composizione. Il tondo, dal diametro di 100 cm, appartiene a un ciclo di cinque dipinti di forma varia, che l’artista chiamò L’amore nella vita… Gli innamorati dipinti sono situati in un lato della composizione e avanzano lentamente verso il lato opposto; tuttavia l’osservatore esterno coglie anche la profondità del paesaggio attraverso i diversi piani delle siepi, del prato e delle colline: la forma rinascimentale del tondo somiglia all’obiettivo di una macchina fotografica, che colga l’infinito istante delle amorose conversazioni»

Con la supervisione di Vittorio Sgarbi
L’opera verrà concessa in prestito dal Museo Civico di Ascoli

 

 

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