Ernesto Lamagna, Angelo nero

«Ernesto Lamagna ha una lunga storia di opere pubbliche, prevalentemente di soggetto religioso, ma fortemente legate al destino e alla fragilità dell'uomo. In entrambi gli artisti agisce la suggestione dell'espressionismo. Ombra, prima che luce, dei tempi. Che il tempo non disperde ma potenzia. Lamagna affida l'uomo fragile alla provvidenza di Dio, ne conosce la debolezza, l'urgenza di Dio, anche se Dio non dà segnali certi di sé. Dio è lontano. Da Dio siamo lontani tutti. Lamagna confida nella salvezza dell'uomo, nel suo destino individuale […] A cavallo tra storia religiosa e sensibilità individuale, prescindendo dalla fede, che è consolazione, è nell'opera solitaria, fortemente consistente, e mai ripetitiva o replicante, di Ernesto Lamagna, lo scultore italiano più significativo dopo Marino Marini, tra Perez e Vangi, espressionista e simbolista, ma soprattutto potentemente drammatico, in una sintesi plastica senza paragone, a un tale grado di verità. Lamagna si mette in discussione contro e dentro la realtà, in una continua sfida, in un rischio esistenziale, che non ammette cali di tensione, tenendo come modelli artisti tedeschi come Dix e Grosz. Ma la sua tensione creativa resta sempre alta, all'attacco, e non in difesa, drammatica; alla ricerca dello scontro, mai lirica, mai doma. La scultura di Lamagna combatte, fuori di ogni condiscendenza, e di ogni indulgenza verso se stesso. Scultura dura, implacabile, e implacata. Anche quando si volge agli angeli, e al loro moto interiore. E come ormai nessuna esperienza creativa, deviata verso il ludico e il patetico, «implicata», come chiedeva, contro ogni decadente forma di arte applicata, pubblicitaria, facile e ammiccante, condiscendente, senza grido, Leonardo Cremonini. La scultura di Lamagna urla. Contro il destino. Contro la storia. Contro la morte. Di tanta arte necrofila»

(Vittorio Sgarbi)

 

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